sabato 28 maggio 2011

dalla novella "La bara" - di Salvina Vilardi

Erano le sei del mattino.
Crocifissa si premurò a preparare qualcosa da mangiare a suo marito, poi si vestì con gli abiti buoni e alle otto si diresse alla chiesa madre a salutare padre Gattuso. Calcedonio diventava sempre più bianco. Era tentato di fermarla e spiegargli ogni cosa, ma non ne ebbe il coraggio, allora prese il suo cappello di paglia e uscì di casa. Subito dopo uscì anche Crocifissa, prendendo la direzione opposta.
Crocifissa arrivata in prossimità della chiesa madre, si unì ad altre donne che andavano a rendere omaggio alla salma di padre Gattuso parlando di quanto cattiva fosse la morte. Si fecero il segno della croce intingendo la mano nell’acquasantiera che si trovava sulla destra dell’ingresso principale della chiesa e si misero in fila per baciare la salma.  Quando fu il suo turno, Crocifissa baciò con le sue mani le mani del sacerdote che era vestito nei paramenti sacri più belli e, anche se per poco, lo guardò con tenerezza ricordando che proprio lui l’aveva sposata, aveva battezzato sua figlia e celebrato anche il suo matrimonio.  Lo ribaciò e si allontanò ma, quasi all’istante, tornò indietro: aveva riconosciuto la sua bara.  La guardò e la riguardò, era proprio la sua bara. Rimase ferma, immobile, con gli occhi sgranati. Qualcuno si accorse che stava male e gridò:
-Aiutatela, aiutatela, sta male, sta male!
-Madre Santissima, un colpo gli è venuto!
La presero e la portarono in canonica. La signora Rosa Quartarone prontamente le alzò le gambe e diede ordine alla signorina Mimma di massaggiarle le tempie. Crocifissa cercava di parlare, ma le parole non le uscivano.
-Chiamate il dottore, qualcuno gridò e già che ci siete chiamate il marito...