mercoledì 24 novembre 2010

Gli occhi e il cuore


Prefazione

di Pierenzo Costanzo

   L’opera si presenta come un viaggio, un cammino che si decide di affrontare in vista di una meta. Qui la meta è il divenire di una donna in continuo conflitto con il contesto locale che non è disposta ad accettare, una donna che si narra trasportandoci tra i suoi ricordi.
I ricordi dell’infanzia rimangono sospesi nel cuore e vivono nascosti perennemente nel presente, pervadendoci di un sentimento profondo di nostalgia dolce–amara. Essi affiorano come immagini che si succedono alla moviola.
A incoraggiare il lettore a intraprendere il viaggio narrativo è una bambina, una bambina triste, ma, allo stesso tempo, vivace e caparbia.
Sin dalle prime pagine ci si imbatte nella sua manina timida che ci invita a proseguire per farci partecipi dei suoi passi. È un tenero invito che difficilmente si riesce a rifiutare.
Il lettore, proiettato nell’esistenza dell’autrice, si sente coinvolto nelle vicende sparse e frantumate di quella difficile età rivisitata con sottile ironia. Rivede le sue storie come un cortometraggio di possibili e immaginarie avventure.
Chi intraprende questo viaggio scopre il vero volto di una comunità locale, una comunità verso cui l’autrice mostra un sentimento, per certi versi, ambivalente: lo ama, ma, allo stesso tempo, ne detesta gli atteggiamenti verso la sofferenza.
Questa sensazione è senza dubbio più vivida nelle pagine conclusive, laddove, abbandonati i ricordi, la protagonista giunge alle riflessioni maturate dopo diversi anni.
Nel suo riflettere, a distanza di tempo, è confermato l’amore per il suo paese “con le sue vecchie casine”, ma anche per i suoi paesani che, purtroppo, il troppo lavoro ha reso miopi di fronte al disagio di una ragazza, e ha impedito loro di vedere “con gli occhi del cuore i bisogni di una famiglia in palese difficoltà”.
Nello scorrere dei vari episodi si cela, più che un senso di rabbia, la triste constatazione per l’avversità del destino che le ha sottratto l’affetto più caro, e per i suoi paesani che, immersi nell’indifferenza e nell’ipocrisia, non hanno mai saputo dispensare un tenero gesto: una carezza, un bacio.
È desiderio di ogni bambino stare tra le braccia materne, accovacciato sulle ginocchia della madre per ascoltare fiabe che animano la fantasia infantile, avvolto dal tepore fatto di cose semplici, carezze, baci, di tenerezze che aiutano a volare sulla complessità dell’esistenza, sulla dinamicità della vita, sulla propria limitata storia. Ma a Salvina questa possibilità è stata negata troppo presto. La perdita della madre è come se le avesse “tarpato le ali”.
Salvina è una bambina che non vuole stare dentro gli argini della cultura del suo ambiente e del suo tempo.
Il sogno di chi è alla ricerca degli affetti perduti e sente di essere “arrabbiata con il destino”, diventa poesia e romanzo. Quel vuoto lasciato dalla perdita della mamma diventa nella Vilardi un abisso che tuttora non riesce a colmarsi. Pur con la necessaria frammentazione, la scrittrice filtra i fatti attraverso le sue emozioni e i fatti emanano un alone di innocenza e di mistero anche quando parla di “quei metodi educativi che di educativo non avevano niente” e che si rivelano come rovinosi metodi pedagogici del passato.
Con energici tocchi e vive descrizioni, la Vilardi rivive luoghi e personaggi. Ripesca, dal silenzio del passato, il modo di vivere e di lavorare, il trascorrere del tempo libero e ricorda “come fosse ora gli odori che si espandevano per le strade del paese e quegli odori scandivano il trascorrere delle stagioni”.
È un mondo di piccoli fatti, di vicende semplici, di persone povere disagiate, che non mutano gli avvenimenti della storia, ma si inseriscono nella fantastica cornice del paese natìo, piccolo nelle dimensioni e ristretto culturalmente, quasi indifferente all’era di transizione che il mondo attraversa.
Figure semplici, ingenue e a volte tenere e canzonate, diventano attrazione seducente per il lettore.
I personaggi di queste vicende assurgono a simbolo di un’epoca ancora non del tutto tramontata in una terra mitica, com’è del resto il cuore della Sicilia, per il suo dormiente essere e per la sua particolare indolenza.
La nostra vita scorre con uno svolgimento irreversibile che giorno dopo giorno si realizza con mutamenti progressivi e impalpabili; allora la memoria riporta continuamente alla luce volti di persone, momenti di personale suggestione, nomi e fatti remoti attualizzati dal ricordo.
Il poeta Marziale scrive che “colui che sa ricordare sa vivere due volte”; per Salvina Vilardi il ricordare vuole essere la conquista dell’impossibile, la conoscenza di ciò che potrebbe essere e non è stato, l’estasi di ciò che uno percepisce e si augura di possedere, il futuro con cui viaggiare in un mondo rinnovato, la libertà di volare, la storia di una sofferenza gridata al mondo senza mai sconfinare nel patetico.
Il racconto dei frammenti di vita che si snodano in una lettura fluida e avvincente, crea effetti suggestivi e, a volte, struggenti.
La vita della narratrice è un miscuglio di buio e di luce; con una pennellata di colore è riuscita a illuminare e riscaldare anche il disagio della sofferenza nel tentativo di colmare il vuoto interiore che tale sofferenza ha lasciato dentro di sé. La Vilardi ha cercato di dare un volto ai fantasmi di un passato connesso al proprio presente. Ha voluto rivolgere il proprio sguardo al passato, alla memoria storica, per ripercorrere le tappe salienti del suo sviluppo senza mai perdere la speranza, fino a considerare che la vita “continua a stupirla” e a farla sorridere.
Piccole intimità assumono rilievo e dominano la scena, esperienze, forse rielaborate, vengono affrontate in un racconto a volte altamente emotivo e appassionante, a volte semplicemente piacevole e comico, ma pur sempre affascinante nella sua semplicità espositiva.

Gli occhi e il cuore
Salvatrice Vilardi
Edizioni Smasher - 10,00 euro
1a edizione luglio 2010
ISBN 978-88-6300-022-1

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